Senato, è battaglia. Renzi: «Non è capriccio»
Martedì era sfumata l'intesa con i "dissidenti". Il premier: «Hanno paura per la poltrona». Disputa sul "canguro", la norma che taglia tutti gli emendamenti affini
Resta il caos sulla riforma del Senato. E dopo la giornata di scontro di martedì in Aula, tra urla e contestazioni dopo che è sfumata l’intesa con i “dissidenti” sul taglio degli emendamenti, con la conseguente ap- plicazione del “canguro”, che permette di tagliare emendamenti affini tra loro (1400 quelli eliminati così martedì).
La mattinata è iniziata con la sospensione della seduta da parte del presidente Grasso che ha convocato la Giunta per il regolamento accogliendo le richieste arrivate da più parti, in merito appunto all’applicazione della regola del “canguro” sugli emendamenti al ddl riforme. Le minoranze hanno così ottenuto la sospensione dei lavori per consentire alla Giunta di riunirsi per fare chiarezza e dare un’interpretazione «autentica» sulla norma.
«Gli italiani ci hanno chiesto di cambiare un sistema politico che non funziona più. Noi manteniamo la promessa, senza paura e senza mollare. Stiamo facendo le riforme perché la politica e i politici devono cambiare. E le sceneggiate di oggi dimostrano che alcuni senatori perdono tempo per paura di perdere la poltrona. Noi andiamo avanti e alla fine saranno i cittadini con il referendum a giudicare chi avrà ragione e chi torto. La nostra determinazione è più forte dei loro giochetti. Andiamo avanti pronti a discutere con tutti ma non ci faremo mai ricattare da nessuno». Così aveva scritto martedì il premier Renzi su facebook. E il giorno dopo rincara: «In queste ore i senatori che sostengono la riforma e che stanno subendo l'ostruzionismo di una piccola parte dei loro colleghi stanno dimostrando il senso delle istituzioni più straordinario che si possa chiedere. Approveremo la riforma in prima lettura, nonostante le urla e gli insulti di queste ore». E ancora: «Le riforme non sono il capriccio di un premier autoritario. Ma l'unica strada per far uscire l'Italia dalla conservazione, dalla palude, dalla stagnazione che prima di essere economica rischia di essere concettuale».
Martedì, c'era stata l’apertura del “dissidente” Chiti: «Presento una proposta condivisa con i colleghi che sostengono la maggioranza»: ridurre gli emendamenti e «concentrare il confronto sulla riforma attorno a grandi temi. Votare entro agosto alcune decine di emendamenti fondamentali. Poi la prima settimana di settembre le dichiarazioni e il voto finale». Così Chiti in mattinata in Aula, aprendo a sua volta alla mediazione con il premier Renzi sul tema riforme. Di conseguenza si muoveva il presidente Grasso, convocando «immediatamente la capigruppo» per prendere una decisione «sul prosieguo dei lavori» nell’Aula del Senato sul ddl di riforma della Costituzione.
Il governo, da parte sua, «come sempre è disponibile a trovare ulteriori punti di incontro» per cambiare il ddl costituzionale ma «non può sottostare a un ricatto ostruzionista, per questo avevo visto come favorevole la proposta di Chiti» di mediazione. Così il ministro Maria Elena Boschi nell’Aula del Senato.
Una svolta quella di Chiti che veniva accettata con riserva dal Pd, tanto che il capogruppo Luigi Zanda dichiarava: «Accolgo con rispetto l’indicazione di Chiti perché le votazioni» degli articoli del ddl sulle riforme «terminino l’8 agosto. Poi se il voto finale dovesse andare ai primissimi giorni di settembre non lo considererei un trauma. Ma» serve «l’accordo di tutti» i gruppi del Senato. Poi aggiungeva: «Mi sembra dal dibattito che le condizioni di Chiti per una soluzione che a me sembrava molto proficua, non ci siano». «Chi ha presentato 6000 emendamenti non ha detto di volerli ridurre», diceva con riferimento a Sel, e allora «si continui a lavorare secondo il calendario stabilito».
E mentre Forza Italia dava un sostanziale via libera («Ma non tutte le modifiche che ha chiesto Chiti potranno essere accolte dal governo, perchè c’è l’accordo del Nazareno, che è il punto di riferimento che non dobbiamo o possiamo scalfire» è quanto dichiarava il forzista Donato Bruno), il M5S restava sulle sue posizioni: «Siamo pronti a discutere ma ci spaventa il percorso che Zanda dall’alto della sua maggioranza impone alle riforme». E dei duecento emendamenti al ddl riforme «non ne ritiriamo nemmeno uno. Siamo disponibili a continuare con il calendario vigente e lavoreremo con serietà sui nostri emendamenti da oggi all’8 agosto».
Sel, invece, prima sembrava possibilista, poi faceva saltare tutto: «Amplissima disponibilità se si vuole davvero entrare nel merito e discutere delle modifiche, ma non è per noi interessante la concessione di una settimana in più», come propone Chiti, bensì capire dal governo «se si vogliono davvero mediazioni alte». Così diceva Loredana De Petris, che poi sottolineava: «Il convitato di pietra è il patto del Nazareno». Ma subito dopo arriva la chiusura: «Non è un ricatto: il ricatto è di chi ci dice "smettete di fare opposizione e forse vi concediamo qualcosa" - attacca Nicola Fratoianni -. Siamo pronti a qualsiasi passo in avanti» sulle riforme, purchè «il dibattito riparta da modalità e linguaggio totalmente diversi». Ma la richiesta di ritirare gli emendamenti «non è ricevibile». |