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WIM WENDERS RACCONTA IL MONDO SECONDO SALGADO

In uscita il 23 ottobre, ma già presentato in anteprima al Festival di Roma in occasione dell’incontro tra il regista e il suo pubblico, arriva al cinema “Il sale della terra”

 Una laurea in economia, e un sogno in
 tasca: quello di diventare fotografo e
 viaggiare alla ricerca di un’umanità e di
 una terra incredibile, meravigliosa e
 martoriata, che solamente due occhi
 speciali avrebbero potuto rendere tanto
 immortale. Uno sguardo unico quello di
 Sebastião Salgado che in quasi cinquant’anni di carriera è riuscito a restituire al mondo tutta la bellezza, ma anche le agghiaccianti atrocità di chi lo ha popolato, macche indelebili su una tela altrimenti immacolata.
Una sfida atavica: uomo contro natura. Che nel lavoro del fotografo brasiliano si ergono al centro di una storia lunga e travagliata. Fatta di odio e amore, che alternandosi delineano i confini di un’umanità destinata a perdersi e ritrovarsi, percorrendo quelle stesse tracce che spesso aveva invece cancellato.

Impossibile riassumere l’incredibile. Eppure, come parrebbe aver fatto Salgado nei suoi numerosi reportage, anche Wenders ci riesce, selezionando assieme al figlio dell’artista, Juliano Ribeiro Salgado, alcune delle opere più significative del fotografo. Una vita - così come un documentario - suddivisa in tanti capitoli, spesso differenti eppure incredibilmente confinanti.
Un lavoro e un viaggio iniziato nel ‘73 , quando all’indomani di una missione in Africa, l’allor giovane Salgado decide di non guardare più solo con i propri occhi e di farsi portatore universale di una bellezza altrimenti perduta. Ma gli oggetti/soggetti prescelti non sono mai semplici, né solo votati all’estetica. Ciò che fa di Salgado un narratore unico sono le tematiche affrontate. Dalla siccità del Sahel - una fascia di territorio dell’Africa sub-sahariana - alle drammatiche condizioni del lavoratori immigrati in Europa. Dall’incredibile lavoro, quasi documentario, che per sei anni lo porta alla ricerca delle radici più profonde del continente sudamericano, nel lavoro “Other Americas”, fino a quella che potremmo considerare infine la sua opera omnia: “Genesis”. Un’opera monumentale dove a rinascere non è solo quella terra ancora una volta immortalata in tutto il suo splendore, ma il fotografo stesso, il cui animo solitario e viaggiatore si era tragicamente spento, trascinato nell’abisso di quel medesimo orrore di cui negli anni si era fatto testimone.
Dai cercatori d’oro brasiliani sprofondati nella loro (in)consapevole miseria, persi in una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo, dove chi precipita è perduto; al genocidio in Rwanda, simbolo su tutti di un’Africa martoriata e assassinata, dove a segnare il passo sono (ancora oggi) più cadaveri che foglie; passando per le fiamme, rese da lui ancor più eterne, che altissime divampavano in Kwait mentre inermi pompieri simili a comparse dantesche tentavano di spegnere un fuoco capace solo di inghiottirli.

Un testimone di indicibili orrori ma anche di bellezze disarmanti. Una fiducia persa e poi ritrovata verso un’umanità destinata a fallire, il cui unico vitale contrappeso era proprio in quella stessa natura che la ha generata. E che anche un solo piccolo uomo dalla grande visione poteva contribuire a ricreare, come quel minuscolo ma significativo angolo di paradiso incontaminato di cui Salgado e la sua famiglia si sono pazientemente presi cura, donando nuova vita a un’altra terra apparentemente destinata a morire: la sua.

Un contributo non solo artistico. Piuttosto, una mano tesa. Che esce dalla fotografia e ricompone un paesaggio altrimenti destinato all’oblio. Un lavoro che probabilmente solo un regista come Wenders poteva rendere al meglio, spogliato di ogni orpello stilistico e velleità personale, e restituito al mondo - in questo caso al grande pubblico pronto ad accoglierlo in sala - sottoforma di documentario. Puro, onesto e spaventosamente meraviglioso.

Noemi Euticchio
20-10-2014

Linear

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