Coffee Special
Non mi piace quando entrano e dicono che fa un freddo cane. Mi sembra di vederlo quel cane entrare dietro di loro, il muso umido in cerca di una carezza, il pelo ispido che puzza di randagio.
E non mi piace quando ordinano il coffee special e non capiscono che è un trucco di Cesare ed esiste solo un caffè uguale per tutti. Non capiscono che è una fregatura, solo un modo per farli entrare a chiedere il coffee special. Eccolo il vostro coffee special. Un caffè normale. Un trucco di Cesare. Ci ho messo sei mesi ad imparare e ora lo preparo bene, con la schiuma, bollente. Ma non ha niente di speciale. Ve lo dico perché non me ne frega più niente e se non vi piace andate a prendervelo da un’altra parte. C’è un altro bar a un metro da qui.
E non mi piace quando entrano cinque minuti prima dell’orario di chiusura, quando ho già cominciato a pulire le macchine. Come questa ragazza con la testa rasata solo da un lato. E indovinate cosa vuole? Il coffee special. La guardo, aspetto che me lo chieda di nuovo con l’accento straniero. - Coffee spe-cia-l, grazie. L’ha scandito bene con le labbra morbide. Ho messo le mani sul bancone, ho avvicinato la faccia alla sua e l’ho ripetuto con il suo accento. - Coffee special… Mi ha sorriso. Ha un buon profumo, le lentiggini. Non le ho mai viste da vicino, le lentiggini, mi piacerebbe assaggiarne una. Con la lingua. - Americana? - Yes… Ho cominciato a preparare il caffè e lei si è messa a giocare con una bustina di zucchero. Se ci fosse stato Cesare si sarebbe fatto avanti, mi avrebbe mandato a pulire il pavimento e le avrebbe detto: - E ora prepariamo un coffee special per questa bella ragazza americana! Ma io sto zitto. Per questo mi piaceva quando c’era Cesare. Una mattina non è venuto a lavoro. Ho pensato che fosse malato. Nessuno sapeva dirmi niente. Mi sono preoccupato, come uno stronzo. L’ho cercato, mi sono fatto dire dov’era casa sua ma non mi ha aperto nessuno. Ho chiesto in giro, a qualche cliente che lo conosceva. Niente. Poi un giorno è arrivata questa cartolina. Con i canguri, il mare, le belle ragazze. E dietro, enormi, due parole: Fuck you! Sotto due righe per me, dice che sta bene, sta imparando l’inglese e lavora in un bar. Ci sono rimasto male. E’ stato lui a insegnarmi a fare il caffè. E a scrivere Coffee Special sul menù davanti alla porta. Da quando se n’è andato i clienti si lamentano. Dicono che il caffè è peggiorato, ma non è vero. È sempre lo stesso coffee special di merda. Ma il capo mi ha detto che devo fare il caffè come lo faceva Cesare o mi licenzia.
La ragazza americana aspetta. Cesare avrebbe chiacchierato tutto il tempo: e come ti chiami, e da dove vieni, e ti piace Roma. Invece io me ne sto zitto e voglio solo dirle che non esiste nessun coffee special. Voglio urlarglielo in faccia. Sono quasi le nove e il resto del mondo deve essersi congelato perché per strada non si vede più un cane. Solo il freddo.
Lei continua a guardarmi e a giocare con la bustina di zucchero. Aspetta e aspetta. È docile, paziente. La bustina è aperta e da un piccolo buco cade un filo di zucchero sul banco. Mi sforzo di pensare che fra poco chiudo. Sono stanco. Devo lavare le macchine, il pavimento, pulire tutto. Ci sto mettendo un’eternità. Le cose mi sembrano di burro. Prendo la tazzina e la metto sul banco. E lei chiede di nuovo Special? Come se non si fidasse. Mi dà un fastidio enorme. Rispondo: - Sì! Cristo, special! Ha spalancato gli occhi. Ha preso la tazza e ha abbassato gli occhi azzurri. Ora sta bevendo, con la testa girata di lato, l’altra metà, quella non rasata, i capelli lisci e biondi. Cesare diceva che la gente ha un lato facile e uno difficile. E così mi calmo. Ora parlo sottovoce: - La vuoi la panna? Lei alza di nuovo gli occhi, si gira, mi guarda. Non dice niente. Forse non ha capito. Prende la bustina, tira fuori la lingua, ci mette sopra tutto lo zucchero. Faccio una cosa che non mi aspettavo, che non si aspettava. Allungo la mano destra e le accarezzo i capelli. Poi con l’altra mano le sfioro la testa rasata. I peli sono ispidi come quelli di un animale selvatico. Lei non si muove. Mi lascia fare. Chiude gli occhi. Ha le ciglia bionde. Restiamo così qualche secondo, fino a quando nel bar entra un uomo. Si avvicina subito alla ragazza. Puzza di vino. Guarda me e poi di nuovo la ragazza, prende un tovagliolo di carta e si pulisce la bocca. Aspetta che gli chieda che vuole, ma non dico niente. Dice la solita frase fa un freddo cane… La ragazza si gira, cerca quello stupido cane che non esiste. Come non esiste il coffee special. E forse non esisto neanche io. Non sono più io. Se ne va. Bye… Lascia i soldi sul banco. Non faccio in tempo a dirle niente. Non riesco a fermarla. Non mi viene nemmeno una parola. Apre e chiude la porta, entra un vento freddissimo. L’uomo puzza di vino, comincia a parlarmi come se fossi il suo miglior amico. Gli dico che devo chiudere. Vado a prendere la scopa. Ma lui continua a parlare. Quando mi vede con la scopa si mette a ridere. Una grossa risata, non la smette più, ride con gli occhi chiusi, la lingua rossa. Sento che dice: Si bravo, tu scopa, scopa. Io vado a scopare quella con la testa rasata… Sento un urlo. Un urlo più grande di me. Un urlo più grande di tutto. Lo sto colpendo con il manico della scopa come un cane randagio. Gli faccio male. Tu non la tocchi. Non la tocchi. |