Antimafia, bufera su cronista Telejato Maniaci
Nei guai il direttore della piccola tv privata di Partinico, noto per le sue campagne contro la mafia: avrebbe ricevuto somme di denaro e agevolazioni con il ricatto
Si definiva una «potenza», dicendo di essere in grado di «mandare a casa» chi non faceva come voleva lui, irridendo anche le solidarietà ricevute per presunte intimidazioni mafiose, anche quella del premier Renzi che gli aveva telefonato per manifestargli vicinanza: c'è tutto questo nelle intercettazioni effettuate dai carabinieri e che hanno messo nei guai Giuseppe Maniaci, direttore dell'emittente televisiva «Telejato», una piccola tv privata di Partinico, noto per le sue campagne antimafia.
Diventato simbolo del giornalismo antimafia, il cronista è ora indagato per estorsione nell'ambito di una inchiesta che ha portato a dieci mandati di arresto, emessi dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Dda, nei confronti di esponenti della «famiglia» mafiosa di Borgetto, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni. Maniaci, secondo l'accusa, avrebbe ricevuto somme di denaro e agevolazioni dai sindaci di Partinico e Borgetto. In cambio avrebbe evitato commenti critici sull'operato delle amministrazioni comunali. A Maniaci, a cui è stato notificato il divieto di dimora nel comune di Partinico, viene contestato di aver chiesto piccole somme (200-300 euro) assicurando poi ai sindaci di non trasmettere quelli che definiva scoop che avrebbero potuto danneggiarli. Oltre al denaro avrebbe anche chiesto un contratto a termine per l'amante al comune di Partinico. E il sindaco di allora, Salvatore Lo Biundo avrebbe accondisceso «se non si fanno le cose che dico - diceva Maniaci non sapendo di essere intercettato - lo mando a casa».
L'inchiesta prende il via nel 2012 quando i militari dell'Arma cominciano a monitorare la famiglia mafiosa di Borgetto e in particolare Antonino Giambrone e i suoi due fratelli Tommaso e Francesco. Gli elementi acquisiti svelano il ruolo di comando di Giambrone e le dinamiche interne all'organizzazione mafiosa. L'11 febbraio del 2013 viene scarcerato Nicolò Salto, storico esponente mafioso e nemico dei Giambrone. Tornato libero, il capomafia cerca immediatamente di imporre la sua presenza sul territorio attraverso danneggiamenti a imprenditori locali. Nell'aprile del 2013 Giambrone è arrestato nell'operazione «Nuovo Mandamento». Poco dopo, Salto rassicura il padre di Giambrone promettendogli che il figlio non sarebbe stato abbandonato. A quel punto Giambrone diventa punto di riferimento per la raccolta del pizzo, sostegno logistico viene assicurato, invece, da Antonino Frisina, autista e consigliori di Salto. |