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Classe operaia e piccola borghesia scomparse
Rapporto Annuale Istat: povertà assoluta per 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 70% degli under35 vive ancora coi genitori
La 25esima edizione del Rapporto annuale dell'Istat mette in evidenza le difficoltà del Paese. E un quadro in cui non esiste più la classe operaia, si fa fatica a rintracciare il ceto medio, e sempre di più nelle famiglie italiane la persona di riferimento è un anziano, magari pensionato.
Secondo l'Istat, quindi, le famiglie italiane sono da oggi suddivise in 9 gruppi sociali. I più corposi sono quelli delle famiglie di impiegati e di operai in pensione. La nuova classificazione è stata fatta nel Rapporto Annuale 2017, che racconta in modo nuovo la società italiana. L'istituto ha preso in esame la situazione professionale, la cittadinanza, il titolo di studio, il numero di membri della famiglia, associando quindi alla componente economica quella culturale e quella socio-demografica. Il risultato sono nove gruppi distinti in base al reddito equivalente medio: i giovani "blue collar" e le famiglie degli operai in pensione con reddito medio; quindi, le famiglie a reddito basso con stranieri, quelle a reddito basso di soli italiani, le famiglie tradizionali della provincia e il gruppo formato da anziane sole e giovani disoccupati; infine, le famiglie benestanti di impiegati, le famiglie con "pensioni d'argento" e infine la classe dirigente.
La spesa media per consumo va da un minimo di 1.697 euro per le famiglie a basso reddito con stranieri a un massimo di 3.810 euro per la classe dirigente (la media delle famiglie è 2.499 euro). Secondo l'Istat, la perdita del senso di appartenenza a una certa classe è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia: la prima si distribuisce tra famiglie di impiegati, operai in pensione e famiglie tradizionali della provincia. La classe operaia si è frammentata tra i giovani blue-collar e nelle famiglie a basso reddito. «La classe operaia - scrive l'Istat - ha abbandonato il ruolo di spinta all'equità sociale mentre la borghesia non è più alla guida del cambiamento e dell'evoluzione sociale. Una delle ragioni per cui ciò è avvenuto è la perdita dell'identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali».
Le persone a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 28,7% nel 2015. Tra coloro che vivono in famiglie con almeno un cittadino straniero la quota è quasi doppia (49,5%) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani (26,3%). La crisi - si legge ancora - ha aumentato la diseguaglianza nella maggior parte dei paesi europei ma se altrove «l'intensificarsi dell'azione redistributiva pubblica ha mitigato l'incremento della diseguaglianza dei redditi disponibili» in Italia questa azione «è tra le più basse in Europa e nel corso della recessione è aumentata meno che altrove mostrando la difficoltà del sistema welfare nel contrapporsi alle forze di mercato». L'Istat evidenzia il ruolo cruciale in questa redistribuzione alle pensioni, che «nel caso di pensionati senza altra fonte di reddito, assicurano un reddito disponibile a persone con un reddito di mercato nullo, mentre un ruolo modesto è ricoperto» da interventi come «assegni al nucleo familiare o sussidi di disoccupazione». Oltre 3 milioni e mezzo di famiglie senza reddito di lavoro Si contano 3 milioni 590mila famiglie senza redditi da lavoro, ovvero dove non ci sono occupati o pensionati da lavoro. Si tratta del 13,9% del totale, con la percentuale più alta che si registra nel mezzogiorno (22,2%). |
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17-05-2017
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