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LE COCCINELLE NON HANNO PAURA

Sulla scia di un lungo lavoro di scrittura, Stefano Corbetta esordisce quest’anno con il romanzo “Le Coccinelle non hanno paura”, pubblicato da Morellini Editore (pagg. 253, euro 14,90).
È la storia di Teo, un fotografo con poche settimane di vita, e l’intreccio narrativo con la scoperta della verità, legata a doppio filo con che gli è vicino, Luca, musicista jazz e la sua compagna Elena alle porte con una nuova vita che arriva, un figlio, e Arianna la psicologa, dentro un percorso di ricerca di un passato lontano, nascosto in un dattiloscritto e una vecchia fotografia.
Il ritmo è segnato dal dolore per la malattia, dalle aperture del destino, dalle lacerazioni nei rapporti umani, imperniato in uno stile asciutto e nitido, con un occhio puntato al fatalismo.

“E non so come ma ho rivisto Teo che dopo essersi allontanato dal bancone del negozio si è voltato e si è messo le mani davanti al volto come se volesse scattare una fotografia. Io ero nascosta dietro una colonna e non credo che lui mi abbia visto, credo stesse inquadrando due bambine che giocavano con cappelli estivi a tese larghe. Poi ha ripeso in mano il sacchetto della spesa e si è allontanato scomparendo tra la gente”.

In questo circumnavigare di rabbia e ragione, vita spaccata e passato, l’autore crea una piccola finestra, quasi di fuga, o d’immaginazione, dove si ritrova a far narrare dallo stesso Teo un’antica storia di passione vissuta in passato, in un piccolo Santuario della Toscana.
Eppure, si coglie una certa discrezione nei dettagli, per dar risalto alla coscienza, ai ricordi, e a un’amicizia profonda tra il protagonista e il suo amico appassionato di note jazz, dove il segno della coccinella è parte stesso della trama e del suo senso, costruito dentro un modello di scrittura introspettiva.

“Teo si risveglia che sono quasi le undici. Nessun sogno, nessuna inquietudine particolare, solo un semplice episodio di insonnia, una cosa decisamente nuova per lui. Ora conosce la storia che per giorni è rimasta nascosta dentro uno scatolone davanti alla sua libreria.
Ma resta ancora l’epilogo”.


Lo si nota dai dialoghi, dall’incastro delle trame, dall’incedere della storia, intessuta di pause volutamente create per conferire autenticità ai volti e al destino.

“Settembre è arrivato. Teo cammina sotto una pioggia intensa, ha i capelli incollati alla testa e ogni tanto si ferma sotto un balcone per ammirare alcuni scorci della città. Il parco è un’immagine muta ma vibrante e Teo la cattura con gli occhi, il chiosco sullo sfondo, una sagoma dai contorni indefiniti e una scia nel mezzo, disegnata da un indomito della corsa che sfreccia in maglia gialla sfidando le pozzanghere”.

Tutto inizia con l’arte, la fotografia, tutto si svolge nella musica, tutto si riannoda a un certo modo di vivere, e alla capacità di saper raccontarsi nei dialoghi intimi.
In un’estate afosa, Corbetta sceglie di collocare il tempo sospeso di Teo tra Lodi, Melegnano e San Giuliano, e attorno echeggiano note di musica, tra il Jazz e l’Heavy Metal, Led Zeppelin, AC/DC, la bellezza, la rassegnazione, il dolore, fino alla conoscenza che esce da piccoli rivoli, si apre e porta al nuovo destino.
L’incerto passo della vita si mescola alla luce dell’immaginazione, allontanando ogni idea di romanzo morboso incentrato sul dolore di una malattia. È, piuttosto, la vita al centro di questa storia, con le sue variazioni melodiche e armoniche, ondeggiando tra le linee di confine.
Alberta Sagna
11-07-2017


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