Allarme dei giudici antimafia sulla prescrizione
Così il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, durante la sua audizione odierna in Commissione Giustizia della Camera
Continua lo scontro sulla riforma della prescrizione. Criticità nelle proposte, contenute tra gli emendamenti del governo al ddl penale, riguardanti i tempi per le indagini preliminari e la discovery degli atti, soprattutto nei casi di inchieste su mafia, terrorismo o corruzione arrivano oggi dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, durante la sua audizione odierna in Commissione Giustizia della Camera.
«Si tratta di modifiche - ha detto il capo della Direzione nazionale antimafia - che non tengono conto della specificità di certi reati. Le indagini su questi temi sono sempre particolarmente complesse: per quanto riguarda le inchieste su fatti di stampo mafioso, spesso coinvolgono una pluralità di soggetti indagati e una pluralità di contestazioni. Prevedere la possibilità di discovery - ha spiegato ancora de Raho - è una difficoltà insuperabile, anche perché le iscrizioni avvengono via via, in relazione alle emersioni investigative». Secondo Cafiero de Raho, inoltre, la riforma della prescrizione «mina la sicurezza del Paese», con la norma sulla improcedibilità che «scatta se il processo in appello non si conclude in 2 anni e in Cassazione in uno, indipendentemente dalla gravità dei reati per i quali si procede. E senza risorse aggiuntive per gli uffici giudiziari, con «tempi così brevi per l'appello», si prospettano «conseguenze molto gravi nel contrasto alle mafie, al terrorismo e alle altre illegalità».
«Rimettere a una riserva di legge l'individuazione di criteri di priorità è come rimettere al Parlamento l'individuazione delle attività giudiziarie che devono essere svolte - aggiunge il procuratore antimafia -: così si avrebbe un'interferenza del Parlamento sull'attività giudiziaria e si andrebbe a toccare l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati e a minare il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale», affrontando infine il tema dei «criteri di priorità» relativi all'azione penale come delineato dagli emendamenti al ddl penale approvati dal Consiglio dei ministri.
Ma lo status quo non è un'opzione sul tavolo secondo il ministro della Giustizia Marta Cartabia, che oggi ha incontrato nel Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli i capi degli uffici giudiziaria della Corte di Appello partenopea. «Le forze politiche spingono in direzioni opposte. Ma la riforma deve essere fatta, con gli aggiustamenti tecnici necessari, perché lo status quo non può rimanere tale. So molto bene che i termini che sono stati indicati sono esigenti per queste realtà, perché partiamo da un ritardo enorme, ma non sono termini inventati, sono quelli che il nostro ordinamento e l'Europa definisce come termini della ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale». E ancora: «Io credo che siamo di fronte a un'occasione unica, non perdiamo il treno del recovery che sta passando, non facciamoci intrappolare in quello che è accaduto da decenni sulla giustizia italiana. Non possiamo stare fermi, abbiamo occasione di metterci in moto anche perché mai come in questomomento sono state mobilitate tante risorse che possono far fronte ai problemi».
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