Meloni: io premier se prendo un voto in più
Così la leader di Fratelli d'Italia. Il Pd cerca di recuperare dopo lo strappo di Calenda, ma lui: «La loro coalizione è fatta per perdere». Salvini: flat tax al 15% anche per i dipendenti. Conte: «Andiamo orgogliosamente da soli»
In vista del voto del 25 settembre, la leader di Fdi Giorgia Meloni, intervistata stamattina a Rtl, chiarisce: «Se Fratelli d’Italia dovesse prendere più voti alle prossime elezioni il nome per la presidente del Consiglio è il mio. Perché Meloni no?» E aggiunge: «Le regole si conoscono. A differenza di quello che piace molto alla stampa, non farò la campagna elettorale parlando di nomi, premier e ministri. Le regole si conoscono nel centro-destra. Il partito che prende più voti in una coalizione propone al presidente del Consiglio la figura che dovrebbe essere indicata che vorrebbe fosse indicata come premier. Spetta al presidente della Repubblica. La cosa che non capisco è: perché la Meloni no? Io penso che chi vota Fratelli d'Italia voti in quest'ottica».
L'alleato Matteo Salvini, ospite di Radio Montecarlo, dice: «Vogliamo azzerare l’Iva sui beni di prima necessità, su pasta e pane, i costi sono sostenibili». Lo dice Matteo Salvini, . «Mi sono impegnato su 3 o 4 temi, con numeri, e proposte concrete, le emergenze sono lavoro e costo della vita, sulle pensioni vogliamo a quota 41. Flat tax al 15% anche per i dipendenti», conclude il leader della Lega. «Penso che vinceremo le elezioni, che la Lega vincerà con il centrodestra le elezioni, ma non è che dal giorno dopo tutti saranno più belli, ricchi, simpatici e fortunati», chiarendo che «ci aspettano mesi difficili, voglio essere assolutamente chiaro, penso che vinceremo le elezioni, che la Lega vincerà con il centrodestra le elezioni, ma non è che dal giorno dopo tutti saranno più belli, ricchi, simpatici e fortunati».
Dal M5S, l'ex premier Giuseppe Conte, intervenuto a Morning news su Canale5, parlando di un possibile ritorno all'alleanza con il Pd dopo lo strappo di Calenda, spiega: «Noi nelle ammucchiate non entriamo. Il Pd si è chiuso le porte da solo, si è messo in imbarazzo da solo, il M5s stelle non chiude le porte a quelle forze politiche e alle parti sane del paese che vogliono perseguire una agenda sociale vera e una transizione ecologica vera. Noi oggi non siamo stizziti, abbiamo constatato che con il Pd non c'era un progetto sociale adeguato».
Proprio il leader di Azione Carlo Calenda non risparmia bordare al Pd: «È una delle decisioni più sofferte, ma non intendo andare avanti con questa alleanza». A fargli cambiare idea, ha spiegato, è stata l'aggiunta dei «pezzi stonati», cioè gli accordi che Letta ha stretto sia con Sinistra Italiana e Verdi sia con Luigi Di Maio e Bruno Tabacci. Ma i den non stanno a guardare: «Onore è rispettare la parola data. Il resto è populismo d'élite». Perché quando è stato siglato quell'accordo con Azione, era inteso che ci sarebbero stati patti anche con le altre forze. Per Calenda, però, la coalizione del Pd «è fatta per perdere. C'era l'opportunità di farne una per vincere. La scelta è stata del Pd, sono deluso».
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