Django Unchained e il ritorno di Tarantino
La vocazione allo spaghetti western (o maccheroni western) del regista trova la sua espressione nel film interpretato da Jamie Foxx, Christoph Waltz e Leo DiCaprio
Con in dote cinque nomination agli Oscar (tra cui Miglior film, ma ha mancato quella per la Miglior regia) e due Golden Globes già in saccoccia (Miglior sceneggiatura e Miglior attore non protagonista a Christoph Waltz), arriva anche nelle sale italiane l’attesissimo Django Unchained, l’ossessione di genere - e con gli speroni - di Quentin Tarantino.
Nel profondo Sud americano, mentre la Guerra Civile inizia a farsi vedere all’orizzonte, un cacciatore di taglie di origine tedesca, il dottor King Schultz (Christoph Waltz), scorrazza per il Paese su un carretto da dentista, dando la caccia ai fratelli Brittle, tre delinquenti che dovranno essere consegnati alle autorità per incassare la ricompensa (vivi o morti poco importa). Il dottor Schultz ha un problema però: identificarli con certezza. È qui che entra in gioco Django (Jamie Foxx), uno schiavo che conosce “personalmente” i tre… Con la promessa di renderlo un uomo libero a missione completata, Schultz si è trovato così un assistente con cui, forte di un legame non solo professionale ma anche umano, viaggia attraverso il Paese tra gli orrori di un’epoca dominata dall’odio razziale, fiutando sia le tracce dei Brittle che quelle della moglie di Django, Broomhilda (Kerry Washington), venduta come schiava e finita a fare tappezzeria a Candyland, l’oscura tenuta governata dallo sfuggente Stephen (Samuel L. Jackson) e di proprietà dello spietato negriero Calvin Candie (Leonardo DiCaprio)…
C’è una caratteristica comune ai film di Quentin Tarantino: più che la violenza e il sangue, più che i calembour di sceneggiatura che permettono ai suoi personaggi di diventare irresistibili, quello che identifica con certezza un “made in Tarantino” è la subdola sensazione di avere davanti un bambino che riesce a farsi comprare tutti i giocattoli che vuole e che finisce per distruggerli - o bruciarli o buttarli via - solo per l’effimero sorriso di un momento (suo e soprattutto di chi lo osserva). È pregio non da poco, che denota ovviamente una confidenza e una padronanza del mezzo connaturata, e che allo stesso tempo fa da contraltare ad un talento sconfinato. Tutto quello che il regista tocca finisce per trasudare il suo grande amore per il cinema e, appunto, quanto si diverta nel farlo. E Django Unchained non viene meno a questa regola non scritta.
Seppure lontano dal film del 1966 da cui attinge ispirazione - senza per questo dimenticare il doveroso omaggio a Sergio Corbucci e soprattutto a Franco Nero, il quale si guadagna i galloni con uno spassoso cameo -, impolverato quanto basta per essere considerato un western, ma non abbastanza per essere “il” western, Django Unchained inchioda lo spettatore più che a Candyland, a Tarantinoland. Strappando quasi la resa dei conti finale a Bastardi senza gloria (ricordate le scene nel teatro, no?), vero trait d’union tra gli ultimi due film del regista, Tarantino torna sul refrain della vendetta ma stavolta lo decora con la più inconsueta (per lui) delle storie d’amore. Battendo furiosamente sul tasto dolente dello schiavismo, vera ignominia statunitense che rimane ancora oggi un tabù senza eguali, il regista mischia le carte più del solito per uno spettacolo a tratti magnetico, capace di una cavalcata di ritmo e toni che avvince e non stanca: partendo da un incipit folgorante, infatti, il film monta via via per crudeltà ed efficacia, trascinando Waltz e Foxx verso le spire di ambiguità offerte dai volti di Samuel L. Jackson e Leonardo DiCaprio, protagonisti a loro volta di dialoghi taglienti.
Deciso da tempo ad imboccare la strada di una maggiore concretezza, messa da parte la dinamitarda confusione che regnava nelle sue scene a metà tra lo splatter e una giostra impazzita, Quentin Tarantino non sarà più il ragazzaccio geniale, scanzonato e divertente di una volta... ma è diventato, semplicemente, un maturo cineasta... geniale, scanzonato e divertente. |