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MARION COTILLARD: NUOVA EROINA CONTEMPORANEA

I fratelli Dardenne tornano ad affrontare una questione scomoda ma quanto mai attuale: il lavoro in tempo di crisi. Dal 13 novembre in tutte le sale "Due giorni, una notte"

 Sandra (Marion Cotillard) è una donna
 come tante. Moglie, madre, lavoratrice. O
 almeno è quel che aspira ad essere. Ma è
 anche fragile e insicura. Forse troppo, per
 questo mondo che vorrebbe tutti agguer-
 riti, forti e indomiti, e in cui la lotta alla
 sopravvivenza non ha ormai nulla di pia-
 cevole e naturale, ma diventa (è diventata) una guerra fratricida, dove a salvarsi non è certo il più buono o il più generoso, ma di nuovo, come un tempo, il più feroce pronto a divorare gli altri. Una società violenta e spietata regredita alle proprie brutali origini.

Licenziata dopo un periodo di assenza causa malattia, durante il quale l’azienda ha sperimentato e pensato che un numero inferiore di operai sarebbe stato altrettanto efficiente e produttivo, viene avvisata dalla sua amica Juliette (Catherine Salée).
Questa la mette però al corrente, oltre dell’infausta notizia, anche della brutalità della decisione, presa non direttamente dai capi ma dai suoi stessi colleghi. I quali messi di fronte all’opzione: prendere un bonus di 1000 euro o licenziare la collega, hanno scelto senza troppi indugi la prima. Secondo l’amica però una possibilità ancora c’è per riprendersi quel posto, e trascinando Sandra dal capo ottiene una nuova possibilità di votazione, da tenersi il lunedì immediatamente successivo.
Ma la donna è spenta, distrutta dalla notizia e incline alla depressione più acuta - la stessa che la ha tenuta lontana dal lavoro per un po’ - vorrebbe solo lasciarsi andare e arrendersi di fronte all’apparente ineluttabilità della decisione, scoraggiata anche dai numeri che dovrebbe ottenere per poter ancora conservare il lavoro. A sostenerla c’è però il marito, Manu (Fabrizio Rongione), che ancora sinceramente innamorato di lei e pieno di speranza cerca di convincerla quantomeno a provare.
Inizia così la sua personale battaglia, tra inciampi, indecisioni e scoramento… Una guerra a suo modo titanica, dove il nemico da sconfiggere è forse tra i più grandi - ma oramai più diffusi - mai affrontati: l’indifferenza della gente. Di coloro che da amici e colleghi si sono trasformati in serpi, in iene assetate di sangue e pronte a divorare l’altrui carcassa pur di vedersi riconosciuto il finanche minimo guadagno in più. Poco importa se una donna, una loro simile, rimarrà senza lavoro. Se non saprà come mantenere la propria famiglia, i suoi due figli o la casa.

Una decisione pilotata. Una guerra tra colleghi e compagni di viaggio il cui esito era già stato ampiamente previsto. Una realtà dilagante e ormai fatalmente definitiva. Racconta in proposito Jean-Pierre Dardenne - che già in passato si era cimentato assieme al fratello su questioni alquanto delicate - «In Belgio, come in altri paesi, sentiamo spesso parlare dell’ossessione per la prestazione nel lavoro e della violenta istigazione alla competizione tra dipendenti». Una problematica senz’altro reale e che affligge da anni questa nostra società, e fattasi ancora più pressante all’indomani di quella crisi economica iniziata ormai da tempo immemore e mai più arrestatasi. Una guerra tra poveri destinata a non lasciare superstiti lungo il proprio sanguinoso cammino.

Anche la Cotillard, che egregiamente interpreta questa donna disperata e a tratti comprensibilmente arrendevole, descrive ciò che attraverso di lei ha potuto trasmettere, oltre alla profonda preoccupazione per l’infausto presente con cui in molti sono costretti ad avere ogni giorno a che fare, e risponde, a chi gli chiede di descrivere il suo personaggio, colonna portante di tutta la narrazione: «Ho scoperto la storia di Sandra quando ho letto la sceneggiatura. Mi sono resa conto di quale magnifica eroina della vita reale fosse e di quale straordinaria sfida sarebbe stata per me incarnare questa donna che va a trovare ciascuno dei suoi colleghi per tentare di modificare il loro voto. È una donna ordinaria, un’operaia che conosce il prezzo delle cose perché non può permettersi altra scelta. In una scena arriva a dire: “Io non sono niente”. Questo senso di inutilità è profondamente radicato in lei come lo è in molte persone che non sanno come confrontarsi con il lavoro o con la mancanza di lavoro. Qualche mese prima delle riprese ero rimasta molto colpita da una serie di articoli e reportage su casi di suicidi legati al lavoro, persone che preferiscono togliersi la vita piuttosto che provare quel senso di inutilità».
E chiosa dicendo: «Per me il film rimanda a quegli eventi che mi avevano tanto toccata». Per noi invece - precari perenni o disoccupati incerti - a quel senso di ineluttabile vuoto vissuto sulla pelle tutti i giorni. Dove ogni alba è uguale alla successiva, non più per la ripetitiva ma indispensabile routine da impiego fisso - ormai chimera irraggiungibile - ma per quel senso di vuoto terribile, assoluto e disarmante, dove questa forzata immobilità è destinata a corrodere anche il più entusiasta degli spiriti, e al cui confronto anche il peggior girone di dantesco inferno sembrerebbe nient’altro che una paradisiaca passeggiata.

Noemi Euticchio
11-11-2014


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