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Nella casa di vetro di Giuseppe Munforte alle soglie di #ioleggoperchè

Il percorso di un libro, nato all’interno dell’editoria indipendente, quando cresce, si sviluppa e raggiunge vette importanti, è senz’altro rappresentativo della stessa storia che porta dentro di sé, come un flusso narrativo che scorre e oltrepassa i propri confini, scavalcando il terreno, esondando dal suo argine.
 
Giuseppe Munforte, milanese, classe 1962, con il suo romanzo “Nella casa di vetro”, pubblicato dalla Gaffi Editore, (2014, pagg. 198), è riuscito prima ad entrare nella “dozzina” del Premio Strega del 2014 e poi, quest’anno, è stato selezionato nel progetto #ioleggoperchè, a cura dell’Associazione Italiana Editori e realizzato con l’Associazione dei Librai Italiani, l’Associazione Italiana Biblioteche, il Centro per il Libro, la Lettura del Mibact e Milano Città del libro 2015.

L’Aie, in occasione della Giornata mondiale del libro del 23 aprile 2015, infatti, ha scelto 23 romanzi e “un libro chiave” di Daniel Pennac che saranno donati per incentivare la lettura, attraverso dei “messaggeri” che faranno da ponte e, quindi, assumeranno il ruolo di veri e propri promotori del libro tra i non lettori, coinvolgendoli.
Il reclutamento di questi ambasciatori della lettura è partito ufficialmente il 9 febbraio e interesserà librerie, biblioteche, associazioni, università, scuole, con al fianco una piattaforma virtuale (
www.ioleggoperché.it), per stimolare la passione della lettura attraverso un vettore digitale della comunicazione, con lo scambio verranno affidati dai “messaggeri” ai non lettori, e gli autori di queste 24 opere selezionate non percepiranno i diritti d’autore. Gran parte di questi titoli saranno disponibili in formato accessibile per i disabili sul sito www.libriitalianiaccessibili.it, grazie alla  collaborazione con la Fondazione LIA.
Pacifico e Samuele Bersani scriveranno e canteranno la canzone di #ioleggoperchè e saranno coinvolti vari personaggi come testimonial, con uno spettacolo che sarà trasmesso in diretta e in prima serata da Rai 3 il 23 aprile.

Si tratta, dunque, di una manifestazione collettiva su scala nazionale per promuovere la lettura attraverso un meccanismo che dovrebbe instillare qualche goccia di piacere nella lettura di un libro.
Del resto, occorre arginare ciò che è emerso dal rapporto Istat sulla produzione e la lettura di libri in Italia pubblicato il 15 gennaio: nel 2014 la quota di lettori è scesa dal 43% al 41,4 % dell’anno precedente. Il dato più allarmante riguarda il Sud, visto che meno di una persona su tre ha letto un libro nel 2014. Addirittura in Sicilia si sfiora la percentuale del 71,8% di persone che non hanno letto nemmeno un libro lo scorso anno. Quasi una famiglia su dieci (9,8%) non ha alcun libro in casa.
È una caduta libera, basti pensare che nel 2013 la quota di lettori di libri era scesa dal 46%, registrato nel 2012, al 43%.
Con il romanzo di Munforte e quello degli altri 23 autori si cercherà di rimediare alle varie cause che hanno eroso nel tempo la quota percentuale dei lettori, forse dovuta alla perdita di un’efficace educazione alla lettura, alla difficoltà di accedere a risorse culturali e ad un livello d’istruzione che lascia poca traccia su questo versante.
 
Il romanzo “Nella casa di vetro” già nelle sue prime pagine porta avanti una preghiera lirica, quella di un padre, di un sentimento, l’amore discreto, puro, avvolto da una bolla, offrendo una chiave singolare, di un mondo descrittivo tutto interiore per accedere all’area metropolitana di Milano, dove è ambientata la storia. È un luogo reale, e si trova dentro un palazzo situato sulla provinciale che porta al quartiere del Roserio, in una zona della periferia nord-occidentale della città, dove l’autore ha vissuto per quasi sette anni.
E proprio questa preghiera, che è un’invocazione, un inno lirico, una verità (anelata), viene scelta dal progetto #ioleggoperchè, come incipit d’autore:

“Portami ancora leggerezza e voglia di correre, il fruscio della bicicletta su uno sterrato, la neve che placa le strade, quello sguardo, quel profumo, e poi chiarezza: e voce limpida! Aiutami, se puoi, a vincere la paura che mi insidia. Portami la libertà dei pensieri, e del desiderio. Il coraggio della veglia”.

Questo gemellaggio tra prosa e poesia crea da subito un’atmosfera intessuta di tensione emotiva, dove le stesse mura della casa nascondono significati verticali, per vivere dal di dentro, per narrare all’interno, per restituire anche all’oggetto materiale un suo significato interpretativo. È come se si consigliasse al lettore di non guardare le cose solo per come son fatte, ma di poggiare delicatamente l’orecchio ai mattoni di un muro, chiudere gli occhi e sentire il pulsare di quella vita, lontana e vicina, i rumori, anche della strada, l’odore delle baracche chi si bruciano, lo stridio delle gomme, le parole dette (e non dette) dentro quell’appartamento, il passo degli operai che accompagna la sera, quando escono dalla fabbrica come un fiume in piena che si riversa sulla strada. E, leggendo, si avverte il suono acuto di un passo, quasi fosse una cantilena notturna.
C’è un’osmosi diretta e funzionale tra la componente materiale e le parole, in un’ambientazione metropolitana, dove il fuori e il dentro si scambiano, di continuo, dando vita ad un prestito culturale.

Munforte usa delle cornici d’intensità lirica, uno stile ed un’atmosfera rendendosi per ciò stesso riconoscibile, autenticamente, con le sue radici culturali. In questo sguardo non intrusivo nella vita degli altri, infatti, ci sono precisi richiami letterari, basti pensare al momento, tutto kafkiano, in cui il protagonista esce sul balcone e si trova di fronte ad un lampione. Ecco, c’è una luce che illumina non solo il balcone, perché questo lampione, con i suoi lunghi fili della corrente, è uno sguardo sugli altri, è un poter leggere anche la vita di un estraneo che passa davanti, sotto il cornicione, cioè una ricchezza: sono i lampioni della città che permettono di leggere, senza accendere neppure una luce dentro casa, dove il contemplare e scrivere rappresentano anch’essi l’illuminare un particolare. Folgorante è questa capacità d’illuminazione.
Così viene in mente quel passaggio di Kafka, in “La Metamorfosi”, con Gregor Samsa, quando

“solo al crepuscolo si svegliò da quel sonno greve, simile a un deliquio. Certamente, anche se non l’avessero disturbato, non avrebbe tardato molto a destarsi; si sentiva infatti riposato e sazio di sonno; ma gli parve di avvertire qualcuno camminare in punta di piedi e richiudere cautamente la porta che dava in anticamera. La luce dei lampioni elettrici entrava dalla via, macchiando qua e là di bianco il soffitto della stanza e le parti dei mobili; ma giù dove stava lui era buio.”

Quella di Munforte è una fiaba proletaria, non a lieto fine, perché

“la gioia è in tutta la narrazione, nel rumore della vita, nel contatto con i figli, quasi fosse un miracolo”,

come lui stesso ci ha detto, lontana cioè da un’aria inquinata di un traffico incessante con rumori metallici. Con gli occhi di chi guarda esternamente una casa di vetro, tratteggia, dunque, la quotidianità milanese, intrisa della partecipazione silenziosa di Davide, il protagonista, anche verso la figlia Sara e suo fratello minore Andreas.
Un delicato affresco letterario, per un’anima “un po' speciale”, che guarda in maniera disincantata le ombre cupe di una periferia, proprio come “una formichina bizzarra” che ruba il suo sguardo e “apre un varco di buonumore nei suoi pensieri”, quegli stessi pensieri capaci di sopravvivere anche al tragico destino, per un esistenzialismo ultraterreno, costante nelle coscienze dei sopravvissuti, che si specchiano con il passato e con il futuro, pur nell’intangibilità, ma sempre nel ricordo di un sentire, che vivifica.
La sua prosa è composta attorno ad un mondo poetico, dove affiora il ricordo di Thomas S. Eliot, nell’opera “La terra desolata”, con un richiamo, oggi, a un’ambientazione metropolitana di Milano, come fu per quella londinese, dove Eliot risiedeva e nel cui poemetto si trovano citazioni di Dante, quando parla del “miglior fabbro”, quello del Purgatorio nella Divina Commedia.

E tra i particolari di questa passione descrittiva verso un’ambientazione metropolitana echeggia un altro grande classico, Walter Benjamin, che si ritrova in Munforte quando fa emergere la Milano marginale, dove il caos della vita crea una verità profondissima, attraverso sottili ed abili ricami della parola:

“Il desiderio di una passeggiata dentro la terra, a mezza costa, sulle foglie gelate che si spezzano e suonano come ostie.”

Anche il semplice passeggiare dentro una città fredda diventa prezioso, guardando le foglie, gelate ed avvolte dalla brina, che diventano ostie, nella contemplazione. Il territorio urbano, il marciapiede, il cemento, diventano terra che produce, e sono scoperta essi stessi perché restituiscono un particolare in superficie, la foglia, avvolta da un elemento naturale. E quando si spezza con il calpestio, ne esce un suono che viene a seguire, ma che eleva quell’elemento materiale a qualche cosa di più, e fa fermare chi cammina, magari assorto nei propri pensieri, per guardare. E stupirsi, attraverso un’interrelazione culturale tra oggetto e parola.

Ritorna, allora, anche un modo aristotelico nel guardare la realtà oggettiva, dove la filosofia nasce dallo stupore (Thaumàzein), ricerca disinteressata delle cose ed espressione della vera libertà.
E lo stupore, per Davide, come ha un inizio ha anche una sua fine, e questa fine, la morte di una vita, è avvolta in uno stordimento angosciato, per la consapevolezza che, in fondo, ha da sempre, e che afferra ogni uomo, da quando apre gli occhi sulla vita fino al suo ultimo giorno: e poi?

Borges, citando Gilbert Keith Chesterton,  diceva

“tutto passerà, rimarrà solo lo stupore, lo stupore per le cose quotidiane.” E nello stupore l’uomo rimane in silenzio, tace, per ascoltare il suono delle cose, che è la loro lingua, quella dell’essere.”

Scritto tempo addietro nel giro di sei-sette mesi, e poi rivisitato come una sorta di diario, rimodellato, cesellato alla stregua di una scultura d’arte attorno alle mura di un microcosmo periferico, costruito come un perimetro (incantato) in cui racchiudere la vita di Davide e la sua famiglia, con tutte le emozioni, il romanzo porterà il protagonista ad essere pian piano l’osservatore vero di ciò che gli accade tutt’attorno, riconoscendo, anzi riscoprendo, la natura di ogni particolare, di un respiro, di un oggetto.
La contemplazione sarà l’elemento immateriale che porterà alla salvezza, anche dentro un finale che non è di felicità. Tutto torna nella casa, perché è di vetro. E da questa casa nasce la poesia dell’accoglienza di una figlia, Sara, nata da Elena e da un altro uomo, che lui accetta.
Un’accettazione che è essa stessa visione, di una realtà non offuscata, trasparente, nel germe del sentimento.

Un linguaggio non omologato, una dialettica costante tra prosa e poesia, sia nel suo aspetto contenutistico che nell’uso della parola, una fusione delle strutture poetiche nel paesaggio urbano, fanno ben sperare che l’editoria indipendente mantenga costante la ricerca di romanzi che garantiscano una specificità culturale, per favorire un processo di scambio interlinguistico e culturale, in un approccio non solo commerciale, ma autonomo, che sia davvero garante della creatività, all’interno della filiera libraria.
Si sente sempre di più l’esigenza che vengano rappresentate le molteplicità di voci, nella loro bibliodiversità, per essere ascoltate, quali espressioni di un differente pensare.

Alberto Sagna
23-02-2015

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