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I RACCONTI DI ROSSANO VITTORI

Parafrasando una piccola locuzione di chiusura presa da uno dei racconti di Rossano Vittori, non è mai una sola molla quella che spinge a circoscrivere i dettagli, prima lontani e poi via via sempre più nitidi, nella scrittura, sino a distaccarsi dall’origine.

“Se vuoi te lo racconto”, è il titolo della raccolta di questi frammenti di memoria, pubblicati da Edizioni Erasmo (2016, p.191, Euro 16,00).

E così, a narrare la storia di Fernando è l’occhio di un bambino che fa filtrare la luce di un altro tempo, quando due ragazzi, poi zii, giocavano tra le macerie di una città rasa al suolo dai bombardamenti, tiravano calci a un pallone di cencio e scimmiottavano i soldati americani giocando a ghinè con un manico di scopa e un pezzetto di legno. Come, poi, si arrivi ad un certo destino diventa il leitmotiv per spaccare in due l’umanità: quelli che domande non se ne fanno mai, e quelli che seguono la memoria, scavando nell’io.

La memoria che diventa  contorno del reale, in senso lirico, nella concatenazione, all’interno di una partitura, di vari tempi che si giustappongono, si intrecciano, sino a che ognuno viene a corrispondere a un elemento psicologico, a un concetto, uno stato d’animo, ora con tonalità basse ora alte, ora un giovane ragazzo, forte come un pugile, ora un debole e anziano, malato, talvolta, o anche tanto sano da divenire spettatore di lucidi emozioni. Dentro questi racconti, allora, si cela celano voci, usate come strumenti.

E tra queste voci quelle dalla lotta e della sopportazione. Anche qui si riporta in superficie una cecità recondita, un altro tema, uno di quelli che scorre lungo la linea asimmetrica della vita. Uno di quelli che, quando te ne accorgi, non ti abbandona, e ad un certo punto esplode, con tutti i suoi rivoli. È nel racconto intitolato “Fortunata”, ruotando il punto vista, questa volta femminile: “Ho chiamato mia nuora, quella che non lavora”, le parole che escono, le richieste inascoltate, i figli che ci sono e non vedono, non sentono, neppure dopo una Tac, un’operazione andata male, un corpo stanco e ferito rispedito come un pacco. Ha passato una gioventù distorta dalle aspettative, fa i conti con le illusioni, un passato dove ha reciso di netto ogni legame con gli uomini prepotenti, e poi arriva il terrore di solitudine che Vittori fa emergere ubicandolo in un Centro Anziani. Non ci sono similitudini, ogni esistenza è a sé, in una scrittura capace di scendere nei particolari, mai nebulosa, mai contorta.

Ventinove racconti in una collezione di frasi, gesti, sentieri, periferie e quartieri, tra uomini e donne, cani e gatti, avvolti tutti da un senso di malinconia comunicativa di un messaggio che tocca sempre il quotidiano, scritti come fossero dei piccoli cortometraggi, visti sotto una lente speciale, senza inganno, che vive nella sua crudezza, quasi a voler togliere ogni velo per mettersi a nudo, portando il lettore a camminare su una sottile corda tesa, in punta di piedi, in bilico, dove sotto non c’è spazio. E l’unico movimento possibile resta il camminare verso la fine, l’epilogo, il dramma, la soluzione che non c’è, come quella di un padre che si addormenta al volante di un’automobile, si rompe le ossa, e prende l’abitudine d’affacciarsi ai vetri per spaventare la gente, storpiando le parole, urlando, in un gioco che non è gioco, in una vita familiare che si trasforma in un campo di battaglia dove non c’è più posto per l’indolenza, ma solo per la forza di ogni giorno, che anche è lo sguardo di una madre che vede crescere i suoi due figli, mentre accudiscono il padre malato in una stanzetta diventata infermeria.
La guerra è nell’esistere.
È proprio il caso di dirlo, citando Mark Twain,

“Sono passato attraverso momenti davvero terribili nella mia vita, alcuni dei quali sono realmente accaduti.”

Rossano Vittori, livornese, ha svolto attività di giornalista e critico cinematografico, scrivendo volumi su Pirandello e Scola. Come autore e regista ha realizzato diversi lavori televisivi, allestimenti teatrali, il cortometraggio cinematografico “Il perfezionista” e il documentario “Campioni livornesi”, un film dove sono ricordati personaggi della cultura come Amedeo Modigliani, Pietro Mascagni, Giovanni Fattori, Domenico Guerrazzi, ricevendo premi internazionali.
Alberto Sagna
09-10-2016

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