METEO
BORSA
26/04/2024 09:08
CULTURA
UTILITIES
Oroscopo del Giorno
Mappe
Treni: Orari e Pren.
Alitalia: Orari e Pren.
Meridiana: Orari e Pren.
Airone: Orari e Pren.
Calcolo Codice Fiscale
Calcolo ICI
Calcolo Interessi Legali
Calcolo Interessi di Mora
Verifica Partite IVA
Ricerca C.A.P.
Ricerca Raccomandate
Ricerca Uffici Giudiziari
Gazzetta Ufficiale
Quando cadono le stelle

In un luogo di racconti, di voci corali, Gian Paolo Serino, nel libro “Quando cadono le stelle”, edito da Baldini & Castoldi, pagg. 221, euro 15,00, disegna con matita sottile un cerchio rosso attorno al mito, alle celebrità, sino ad arrivare alla perfetta linea d’incrocio con la letteratura, mescolando la memoria all’aneddoto, la seduzione artistica ai temi che diagonalmente attraversano le vite degli altri.

E arriva così, nel primo capitolo, il grande Picasso,

“Sono il più grande artista che sia mai esistito.
Tutto quello che tocco diventa immortale. Su questa spiaggia non c’è granello di sabbia che non possa trasformare in arte. Io faccio questo.”

 
L’arte prima di tutto, anche del corpo. L’arte al cospetto dei ricordi e del piccolo volto di una bambina che si avvicina.
Una riga, un compasso e un pezzo di carta su cui disegnare.
Ma non basta. Picasso è immortale.
L’arte è immortale. E, allora, attorno alle figure che sfiorano un grande artista, c’è spazio solo per simboli geometrici, perfetti, a colori, o alla punta di una penna poggiata sulla giovanissima pelle chiara, umana, per incidere disegni, nel singhiozzo, dentro lo stupore.

Il più grande artista che sia mai esistito vede oggetti e non corpi. Filtra la luce della pelle come mezzo per arrivare all’arte immortale, e mentre la sua infanzia mano a mano perde luce, fino ad affondare tra i granelli di sabbia, tra le voci annichilite dalla tecnica, tra i volti atterriti e imbronciati di una madre e sua figlia, lui è immenso.

Si apre il sipario, e Serino punta il suo obbiettivo dritto sulle pieghe dell’animo umano, lì dove l’arte si fa scandalo, lì dove le imperfezioni umane escono da una tela perfetta.
C’è tutto un mondo nascosto, sotterraneo, che fa uscire la miseria dell’uomo, dalla pittura alla politica, o dal cinema.
Il successo non cancella la violenza su una donna, il letto di una clinica psichiatrica, nemmeno se si tratta di Cary Grant, nemmeno se è dentro Hollywood, nemmeno ascoltando un disco di Cole Porter.

“Si guardò allo specchio. Sistemò un ciuffo che gli era sceso sulla fronte, lo incastrò tra i capelli, incollati tra loro dalla brillantina, lucidi e perfetti.
Si sembrò bellissimo. Bellissimo e perdente.”


Serino entra dentro i pesi e contrappesi della celebrità, sviscera con una scrittura precisa l’ineliminabile vizio, lo illumina, e rende questa imperfezione il luogo esatto dove guardare la vita.
Non c’è redenzione senza verità, non c’è vita senza peccato. Non esiste celebrità senza dissoluzione.

È la parabola discendente di J.D. Salinger, di Hemingway con il suo fucile, o di Stephen King, messa in prosa da un tessuto costruttivo multiforme che ha come epicentro il dramma, lo spettacolo del dramma, le luci di ribalta centrate sulla decadenza.

Non c’è un canale esterno per vedere tutto ciò. Il lettore è costretto a partecipare, a vivere, a calarsi dentro la clinica psichiatrica, distratto dalla radio, guardando il vicino di letto che grida e struscia le pantofole, mentre il dott. Bernstein arriva in quel padiglione sgangherato.

La narrazione esistenziale ha un congegno sintattico funzionale all’immedesimazione, e i continui passaggi del punto di vista sono segnati da un tessuto ritmico che si cementa con il tema principale, la caduta verticale delle stelle, ruotando tra i vari personaggi con quella cruda finzione che restituisce alla letteratura dignità, perché è il dolore che diventa immagine impietosa, vera.

È un’indagine a tutto campo sul lato oscuro del successo quella che Serino, noto critico letterario, nel suo primo romanzo, ha voluto sperimentare dentro una cornice biografica, mettendo in scena, come un regista di teatro, un’operazione narrativa di livello con un approccio davvero originale, tra ombre e luci.

È il confronto impietoso di due sguardi, uno verso l’arte, e l’altro verso l’uomo, che fa implodere il mito.

Ed implode laddove diventa scontro estetico, rottura di un’ideologia, dentro un viaggio che si riannoda alla tradizione.
Così come quando descrive l’alter ego di Cary Grant che si specchia, ecco riaffiorare idealmente il mito di Narciso innamorato della sua ombra, ripreso nel racconto di Ovidio nelle Metamorfosi, e poi nella poesia di Gozzano,

“Come uno specchio vano che si moltiplica”.

O, ancora, nella poetica esemplare di Umberto Saba, in “Narciso al fonte” (Mediterranee, 1946)

“Quando giunse Narciso al suo destino
-    dai pastori deserto e dalle greggi
nell’ombra di un boschetto azzurro fonte-
subito si chinò sullo specchiante.
Oh, bel volto adorabile!
Le frondi
importune scostò, cercò la bocca
che cercava la sua viva anelante.
Il bacio che gli rese era di gelo.
Sbigottì. Ritornò al suo cieco errore.
Perché caro agli dei si mutò in fiore
bianco sulla sua tomba.”

Serino, allora, con i suoi racconti, riporta ad un’idea della celebrità e del mito come fonte d’ispirazione artistica essa stessa, in tutte le sue prospettive, dalla narrativa alla poesia, dalla pittura alla scultura, nel passaggio alla bellezza come dono, alla creazione come confidenza naturale con le cose e gli oggetti, chiusi nella loro sfera estetica.

E di nuovo, nel rompere il canone, viene in soccorso il linguaggio con i suoi flussi, spingendosi verso l’isola della bellezza, che non sempre è meraviglia quando è gioco di illusioni, riflessi e duplicazioni.
Alberta Sagna
04-05-2017

Linear

Copyright 2006 © Cookie Policy e Privacy