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LISSY, QUANDO LA MONTAGNA SI TINGE DI NOIR

Luca D’Andrea torna a descrivere il male, e questa volta, con il romanzo “Lissy”, pubblicato da Einaudi Stile libero, l’architettura ruota attorno all’elemento primitivo della paura, la montagna dell’Alto Adige, aprendo la via a una fiaba nera ambientata in un maso, tra i coboldi, piccole creature che vivevano nel metallo e nella terra, il Bau’r, il contadino che abita in un piccolo casolare sperduto dove sono disseminati i graticci per il pane nero, una fontana d’acqua, la stanza per affumicare lo speck, la Stube, una stalla per gli animali e un paio di sedie sbilenche.

Marlene fugge in macchina dall’uomo più temuto del Sud Tirolo, suo marito, Herr Wegener, dopo aver rubato a lui un tesoro inestimabile, ma esce di strada.
Simon Keller trova la giovane donna, svenuta, alle radici della montagna, dentro la Mercedes rimasta accartocciata per l’urto, e la porta in spalla fino al suo maso.

Lui è un contadino, ma anche Kräutermandl, cacciatore, boscaiolo, cuoco, falegname, allevatore, medico. Il Bau’r è anche prete.
Il Bau’r è il signore della montagna.

Quando Marlene si risveglia viene assalita dalla nausea, un sapore acre in bocca e la testa che martella, insieme agli odori, alla fuliggine, al puzzo di letame, e la polenta stantia. Si aprono ricordi, la stanza è uguale a quella in cui aveva vissuto l’infanzia con sua madre.
Ma la madre è morta.
E il marito la sta cercando, le sta dando la caccia per punirla.
 
Con una scrittura affilatissima e un equilibrio meticoloso nella struttura della storia, Luca D’Andrea crea dentro il maso degli anni settanta un’atmosfera cupa, bisbigliando all’orecchio del lettore in ogni angolo della stanza, a ogni singolo oggetto e Marlene seduta su una sedia inizia a fissare le rughe sul viso del contadino, con la paura che il petto possa smettere di andare su e giù.

E poi arriva Lissy, un mistero legato al Bau’r, trascinato dietro sin dalla nascita.
La “dolce Lissy, piccola Lissy”, è una mostruosa scrofa ma è anche creatura di un archetipo familiare, funzionale a scavare nella psiche.

La voce ha un suo colore perfettamente riconoscibile, e ogni passo del Bau’r diventa tono, elemento descrittivo, finestra d’accesso nella trama.

Sono le atmosfere aspre della montagna e dei boschi che rendono quei luoghi lo scenario dell’orrore, un male kinghiano che si nasconde proprio nelle pieghe del freddo che accompagna la vita in solitudine, nell’assenza di via di fuga, e nel passato spaventoso del contadino.

Il segreto di questo romanzo è nel rapporto tra maso e asfissia, tra prigione e tutto ciò che mano a mano viene costruito attorno a Marlene e diventa funzionale a far crescere la tensione, fino ad adombrare una mente incredibilmente turbata da psicosi e manie depressive.

Il merito di Luca D’Andrea è senz’altro di essere riuscito a imporre un ritmo narrativo direttamente connesso all’impatto con l’abitare quei luoghi accerchiati da una natura ruvida, la neve che vortica a sciami, una follia che ha le sue radici nella vita del Bau’r dentro il maso, altalenando la sopravvivenza come istinto e poi come furia omicida che preserva.

Lissy è, allora, un romanzo claustrofobico, ma è anche opera che contiene nella scrittura il sottile gioco del mistero, lanciato in ogni incipit di capitolo perfettamente teso a creare una porta d’ingresso verso un passato spaventoso fino quando tutto il mondo finisce per restringersi nel piccolo maso solitario, per sentirne l’odore, l’orrore, la disperazione.

Il 5 dicembre 2017 è stato assegnato a Luca D’Andrea il Premio Giorgio Scerbanenco per quest’opera.
Alberto Sagna
21-02-2018

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