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Sonno bianco, il romanzo di Stefano Corbetta

Il letto di un ospedale separa all'improvviso la vita di due sorelle, infranta da un terribile incidente.
L’incipit di questo libro narra una storia capovolta, con una pallina che rotola sull’asfalto bagnato dopo aver colpito lo spigolo di un marciapiede, schizzando poi verso lo slargo di una pompa di benzina, mentre una piccola bambina la fissava senza udire la voce della maestra, il grido disperato della sorella, e un grosso camion. Il mostro di ferro che le è piombato addosso.

Emma e Bianca sono gemelle omozigote intrappolate in un limbo.
Quello di Bianca è lo stato vegetativo, il lungo sonno scandito dal coma a seguito di un incidente.
Un silenzio impenetrabile.
L’altra sorella, salvata proprio da un atto eroico di Bianca, a soli nove anni, ha ancora dentro di sé il ricordo di quella pallina.

Inizia allora “il libro di Othie”, la lunga storia di un destino tra due sorelle che solo all’apparenza erano identiche, inseparabili.

Stefano Corbetta nel suo nuovo romanzo “Sonno bianco”, pubblicato da Hacca Edizioni, esplora le fragilità di questa sopravvivenza, la necessità di colmare un vuoto costante, la variante di un destino geneticamente uguale nella fisicità corporea, le ossessioni di una madre annientata dal dolore, la mediazione impossibile di un padre, e la voglia di riscatto.

Il libro è una narrazione aperta del dolore familiare, le risposte non saranno mai perfette, e neppure la speranza di trovare un freno alle urla trattenute, ai rimorsi, al senso di colpa.

Corbetta muove i personaggi con rara sensibilità attraverso una scrittura lineare, rendendo palpabile il loro stato d’animo, descrivendo in profondità un mondo interiore attorniato dalle note di Beethoven e Chopin che entrano nei silenzi.
Le vite si separano lungo il tragitto, Emma si avvicina al teatro, s’innamora del suo insegnante di recitazione a cui racconterà il giorno di quella tragica gita.

C’era un tempo di primavera in cui passava le domeniche al laghetto con il padre, e Bianca restava a casa con la madre per leggere, o a mettere in scena un piccolo teatro familiare. Emma aveva imparato a togliere l’amo dalla bocca dei pesci, per poi rilasciarli in acqua, lì sulla riva, oltre i canneti.
Al ritorno trovava Bianca in soggiorno, in piedi vicino alla finestra e con un inchino la sorella iniziava la recita, diventando una principessa o una strega nel regno delle favole. Emma la guardava, desiderando di essere come lei, spontanea, l’orgoglio di sua madre.

Una luce nuova inizia a brillare accanto a quelle schegge di memoria che la tormentano perennemente. È speculare al riflesso vitreo degli occhi della sorella che aprono la porta di un altro luogo, l’Istituto Palazzolo di Milano dove è ricoverata Bianca. Ogni volta che arriva lì ha un nodo in gola, e la morsa improvvisa nel petto. Quegli occhi aperti di Bianca sono oramai un movimento impazzito delle pupille. La consapevolezza di essere prigioniera, da qualche parte, lontano da loro.

Il libro è suddiviso in due parti e le storie sono contrassegnate dai nomi di “Othie” (Emma) e “Oth” (Bianca), come a rimarcare i solchi vertiginosi tracciati dalle vite parallele delle due gemelle, la speranza e il cammino verso la rinascita.
Dentro questa struttura viene docilmente inserito il conflitto tra figlie e genitori, le spaccature, le reazioni al dramma umano.
C’è la rottura del quotidiano nelle giornate di Emma, i nuovi legami, il teatro, e poi tutto il dramma della notte che si incunea nella mente.

Proprio dentro i particolari di una storia infelice arriva la forza della scrittura di Corbetta tesa a far crescere l’aspettativa di un altro mondo, l’imprevisto nato da un incontro, da una nota musicale che diventa cura tra lenzuola di un letto d’ospedale.
La musicoterapia rappresenta il secondo livello di comunicazione che s’inserisce nella struttura del romanzo e agisce come una sorta di rito sciamanico: da un lato innesta un approccio riabilitativo per Bianca, e la sperimentazione sembra recuperare il concetto simbolico di speranza, dall’altro, invece, allontana, incarna la complessità della parola, la conduzione mentale del suono, i suoi effetti molteplici, fino a poter assumere i contorni della distanza familiare, una barriera, l’incapacità di esprimersi che porta Emma alla fuga.

La ricomposizione dei ricordi è un processo lungo che passa anche attraverso immagini sbiadite, l’eco di un respiro, piccoli frammenti incastrati in un corpo immobile.
Alberto Sagna
03-05-2019

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