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Un bacio dietro al ginocchio di Carmen Totaro

Il romanzo indaga con una scrittura cristallina il senso d’inadeguatezza di una madre nel rapporto genitoriale, che si acuisce quando viene lasciata sola, al ritorno...

Una madre e una figlia, una cena sulla Darsena, all’aperto, in una piccola taverna, ma è il giorno del confronto dove le parole scorrono senza arrivare a sciogliere i nodi, ci sono solo le mani di Elisa che scorrono veloci sulla tastiera del cellulare, e risposte dettate dalla voglia di non deludere una madre.
Inizia così il viaggio di una madre, Ada, nei meandri nascosti della vita di una figlia, dove al centro del romanzo vengono messe le recriminazioni silenziose, quelle parole non dette che aprono la strada dell’abisso, una madre che sprofonda verso l’impensabile. E dai dialoghi interrotti nasce un mistero, la ricerca di una via di fuga proprio dentro casa.

Il romanzo di Carmen Totaro pubblicato da Einaudi (Collana Supercoralli, pagg. 164) indaga con una scrittura cristallina il senso d’inadeguatezza di una madre nel rapporto genitoriale, che si acuisce quando viene lasciata sola, al ritorno a casa dopo una cena, con la testa appoggiata sulle piastrelle fredde del bagno ripensando a quelle scarne battute con la figlia, e lì inizia a ripercorre ogni parola. L’abisso è il risveglio, ritrovarsi immersa nell’acqua fredda della vasca da bagno con la musica rock dopo essersi addormentata e persa nei mille rivoli delle discussioni sospese, appese a un filo, a metà, e la scoperta che la porta del bagno è rimasta chiusa senza la chiave nella toppa.
Ada spalanca gli occhi, inizia lo spavento, cerca disperatamente la chiave per terra, dietro la cesta dei panni sporchi, nell’armadietto sotto il lavandino, nella lavatrice, ma non trova nulla.
Non trova sua figlia dietro la porta.
Deve reprimere la rabbia, la paura di dover trascorrere un’intera notte nel bagno, accanto alla vasca.
E alla paura si somma la vergogna. La consapevolezza di aver ascoltato dalla figlia solo parole meccaniche, come se la ragazza le avesse ripetute mille volte davanti a uno specchio, una recita perfetta che inizia ad incrinarsi perché poi quelle parole in quel piccolo angolo del bagno diventano improvvisamente vacue.

Totaro scrive un romanzo che analizza un rapporto materno su diversi piani, la fotografia millimetrica del dolore di una madre e il passato della figlia, la narrazione di sé e l’analisi comportamentale delle vicende familiari, l’ignoto e la ricerca delle radici. Tutto è funzionale a riportare indietro nel tempo per aprire la strada a un noir letterario che racconta il desiderio di ascolto, nel momento in cui Ada non vede più la figlia nella casa, quando non sente la sua voce, non risponde alle sue domande di aiuto, e la testa si riempie di dubbi ripensando al momento in cui le ginocchia avevano urtato di continuo il tavolo del ristorante.
Un esame andato male, o qualcuno che aveva infastidito la figlia, il mistero o le fragilità, e, ancora, il senso materno o l’assenza di un legame autentico, sono questi gli interrogativi che poi, in fondo, costruiscono attimo dopo attimo la narrazione del tormento di una madre.
Fino a quando qualcuno arriva, per liberarla dal bagno, da quella stanza, da quelle parole che scorrevano come una pellicola di un film nella mente, dove i dettagli iniziavano a deformarsi.
Per poi subire l’umiliazione di essere trattata come una pazza.
La situazione si capovolge, il problema non è più la figlia, ma l’equilibrio di una madre.
Ecco, più che noir è un romanzo scritto per riportare in superficie le ragioni irrisolte di un conflitto e lasciarle lì, per farle sedimentare.
Sono i dubbi, le insidie nascoste, le paure che vengono fuori in maniera prepotente che costituiscono il punto di forza di questa narrazione.
Ada, una madre separata cinquantenne, deve togliersi la sua maschera, capire se è genitore, cercarne le tracce, e l’uso di un linguaggio asciutto con dialoghi che si alternano alle emozioni restituite in superfice costituisce la giusta meccanica per disegnare i personaggi.
Elisa, la figlia appena ventenne e alle prese con gli studi universitari, aveva visto gli occhi della madre come quelli di una bambola rotta, incapace di commuoversi.
Cosa nasconde davvero la fuga di Elisa in quella sera in cui la madre è rimasta sola nella vasca?

Le immagini reciproche, dell’una nei confronti dell’altra, sono distanti dal presente, deformate dalla emotività.
Tutte le cornici dell’immaginario vanno in frantumi e da lì nasce il senso di vergogna di Ada, come madre e come donna, e per lei inizia a contare davvero questo nello stesso istante in cui è seduta nel salone di casa circondata dalla portinaia, dalla vicina, dai loro mariti, e il pavimento sembra inghiottirla.

Personaggi femminili che escono dai loro stereotipi, diventano a tratti sgradevoli, una madre che non sa nulla della figlia, la ama a modo suo solo per mostrarla ad altri come una ragazza realizzata negli studi, e lei stessa nella famiglia.
Ma, in fondo, Ada non la conosce davvero, non ha le capacità.
“Un bacio dietro al ginocchio” è anche un romanzo di amore filiale contemporaneo, sbrigativo, fatto solo degli occhi dell’adulto nelle sue proiezioni, senza capire, di piccole fotografie istantanee da mettere in cornice nel salotto, non di sguardi colmi d’intesa.
Ada giustifica la figlia, e in parte mostra il suo lato protettivo, ma solo quando capisce che Elisa è fuggita.
È il senso dell’abbandono, è solo questo.
Non era stata capace prima di ascoltare la figlia, “proteggere e protezione” sono termini che implicano una lenta e faticosa costruzione.

Due ferite, due donne, due coscienze, e nel sottofondo una scrittura tesa nel ripercorrere il processo di identificazione della madre con la figlia, ed è proprio qui che la Totaro mostra piena consapevolezza del suo armamentario, usando le parole come un piccolo zoom sulle azioni sviluppate nei minimi gesti.

È un romanzo che costringe a squarciare il velo delle ipocrisie seguendo la storia di una madre.
Alberto Sagna
22-06-2021

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