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Agire
«Falcone, la storia della Repubblica sembrò fermarsi»

Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella da Palermo in occasione dei 30 anni dalla strage di Capaci. E poi sottolinea: «Forte reazione dello Stato e della società»

«Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio quando la vita della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore, dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani».

Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando a Palermo in occasione della commemorazione del trentesimo anniversario dell'attentato a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i componenti della scorta.
«Del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle Istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti dello Stato di diritto. Altrettanto significativa fu la risposta della società civile, che rifiutò di subire quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione del rinnovamento. Poc’anzi notavamo con il Presidente della Camera, che neanche questo la mafia aveva previsto. Come non aveva preventivato il movimento culturale che, a partire da quei giorni, ha animato il Paese, trasformando questa dolorosa ricorrenza in un’occasione di crescita continua per promuovere nuove forme di cittadinanza attiva».

Dice il Presidente:
«Per questo vorrei ringraziare, in particolare, Maria Falcone, che - con la Fondazione che presiede - si adopera affinché la memoria di Giovanni Falcone e del suo sacrificio non sollecitino soltanto un ricordo ma contribuiscano ad alimentare l’impegno per l’affermazione dello Stato di diritto anzitutto nella società civile. Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vennero colpiti perché, con professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché capaci di dimostrare che non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto. Onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni. Giovanni Falcone diceva che «l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza». Agiva non in spregio del pericolo – come poc’anzi ha detto Maria Falcone - o alla ricerca di ostentate forme di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile».
23-05-2022


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