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Le vie infinte del processo a Pasolini
Nel libro di Umberto Apice dal titolo “Processo a Pasolini” pubblicato da Zolfo editore, il punto di partenza è proprio il processo, nel suo divenire tra...
Pasolini i processi li conosceva bene, li ha subiti e si è difeso come un uomo cerca di difendere la propria libertà per oltre trenta volte volte, e si troverà di fronte ad accuse e richieste curiose di parti civili, come quella del caso di tentata rapina al Circeo, dove oltre a richiedere la perizia psichiatrica, viene formulata un’istanza di acquisizione delle poesie e la visione di un film. Come a dire, il messaggio che deve passare è che si tratta di un processo volto a demonizzare un esibizionista omosessuale dentro la cornice di una giustizia moralista e un Paese perbenista. Nel libro di Umberto Apice dal titolo “Processo a Pasolini” pubblicato da Zolfo editore, il punto di partenza è proprio il processo, nel suo divenire tra istruttoria e dibattimento, la lettura degli atti e del capo di imputazione, tra attendibilità dell’accusa e dell’accusatore, con un’analisi molto precisa dei provvedimenti. Ricostruire un processo è anche ripercorre le vicende che fanno da cornice a un momento storico, e l’Autore intuisce la necessità di restituire alle parole dei magistrati che si sono occupati del caso una tensione storica, un clima, le differenti modulazioni delle asserzioni logico giuridiche usate ora per assolvere ora per condannare, aprendo pieghe oscure: a far pendere la bilancia della giustizia a sfavore dell’imputato Pasolini è la sua stessa personalità messa al centro di un circo mediatico feroce. Era il 30 novembre del 1961 quando un quotidiano riportò la notizia a piena pagina: “Denunciato per tentata rapina Pier Paolo Pasolini ai danni dell’addetto a un distributore di benzina”. L’articolo è accompagnato da un fotogramma tratto dal film “Il gobbo” di Carlo Lizzani, e ritrae Pasolini con un mitra in mano. Apice, vale la pena dirlo, non è solo uno scrittore saggista, ma ha svolto la funzione di magistrato, e allora suscita ancora più l’interesse alla lettura dell’opera nelle sottili controdeduzioni e analisi induttive sulla motivazione dei provvedimenti presi a carico di Pasolini, lì dove, a un certo punto, arriva chiaramente a dire che sfiorano la apoditticità nel sostenere l’attendibilità dell’accusa, che definisce “assolutamente gratuita e immotivata”. Queste annotazioni critiche rendono il testo davvero appetibile di fronte a un’analisi delle vicende giuridiche che hanno colpito il poeta barbaramente assassinato all’alba del 2 novembre 1975. Sarò proprio il grande avvocato Francesco Carnelutti, difensore di Pasolini, a denunciare l’atteggiamento pregiudizievole degli accusatori, quando esasperato dirà in aula “Volete sbranarlo, Pasolini?” L’opera ha il pregio di ricucire il dentro e il fuori del processo. Anatomia di un processo sarebbe la giusta locuzione. Tutto ha inizio da un racconto che un certo Benedetto De Santis va a fare il 19 novembre 1961 al comandante della stazione dei Carabinieri di San Felice Circeo. Come scrisse Stefano Rodotà l’ininterrotto processo che ha per imputato Pasolini comincia presto, percorre gli anni cinquanta ma è negli anni sessanta che si insedia come elemento stabile nel panorama italiano. L’acuto giurista tiene e precisare che questo momento coinciderà con gli anni del “disgelo costituzionale”, dell’uscita della società italiana dal tunnel della guerra fredda e dall’apertura di nuovi orizzonti culturali, spazi di libertà fino ad allora impensabili. |
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Alberto Sagna |
24-07-2022
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