L'arresto in Libia del generale al-Masri
Fermato in Italia e poi espulso lo scorso gennaio, è ricercato della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità. Ci sono le "prove di torture e crudeltà"
La procura generale di Tripoli ha ordinato l'arresto del generale Osama Njeem Almasri, ex capo della polizia giudiziaria libica e leader della milizia Rada, con l'accusa di torture e violenze perpetrate nei confronti di detenuti nel carcere di Mitiga, nella capitale libica. Il provvedimento, emesso in base a prove raccolte durante recenti interrogatori ai prigionieri, prevede la custodia cautelare e il rinvio a giudizio per reati che includono maltrattamenti su almeno cinque persone, con la morte di una di esse attribuita direttamente alle torture.
Almasri, che dirigeva il centro di detenzione come parte delle Forze speciali di deterrenza Rada – nate per contrastare le forze di Gheddafi e trasformatisi in una delle principali milizie del paese –, è ora in detenzione preventiva in attesa del processo davanti al sistema giudiziario libico. L'arresto assume un rilievo particolare alla luce degli eventi di gennaio scorso, quando il generale fu fermato dalla polizia italiana a Torino il 19 gennaio, in esecuzione di un mandato d'arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra e contro l'umanità. Le accuse della Cpi, formulate sulla base di indagini iniziate nell'ottobre 2024, riguardavano specificamente abusi commessi nel carcere di Mitiga tra il 2014 e il 2017, inclusi stupri, percosse e altre forme di crudeltà sistematica su prigionieri, tra cui migranti e oppositori politici. Nonostante l'esecuzione iniziale del fermo, il ministero della Giustizia italiano non procedette alla convalida dell'arresto né richiese misure cautelari, portando alla scarcerazione di Almasri dopo soli due giorni. Il 21 gennaio fu rimpatriato in Libia su un volo dei servizi segreti italiani, accolto in patria da sostenitori che lo celebrarono come eroe.
La decisione italiana suscitò critiche immediate da parte della Cpi, che a giugno 2025 accusò formalmente Roma di aver violato gli obblighi internazionali di cooperazione, non avendo né arrestato né consegnato l'indagato all'Aia. L'episodio alimentò un dibattito incandescente, con l'opposizione che denunciò un intervento governativo contrario allo Statuto di Roma, ratificato dal nostro paese. Oggi, l'azione della procura libica riporta il caso nel circuito della giustizia nazionale, in un contesto di tensioni interne alla Libia dove la milizia Rada di Almasri ha recentemente scontato contrasti con il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. |